Luther Blisset

Lasciate che i bimbi

 

5. Del mito della "pedofilia" via Internet e di come contrastarlo

 

Tightening the Net

 

Per ragioni connesse alla sua natura transnazionale, orizzontale e virtualmente "incontrollabile", Internet è guardata con sospetto dai politici, dai preti, dai giornalisti dei vecchi media e dagli stracchi intellettuali accademici; in pratica, dai reazionari di ogni istituzione e latitudine. Ogni scusa è buona per calunniare questo mezzo, invocarne la censura, sparare impressionanti cazzate confidando nella beata ignoranza del "pubblico". Nelle migliori delle ipotesi, le correnti descrizioni di Internet sono caricature malriuscite di ciò che la rete è ed offre.

Oltre al terrorismo e - dopo il caso Heaven's Gate - le sette, la pornografia e la "pedofilia" (spesso riunite sotto l'espressione-ombrello kiddy porn) sono i pretesti più stupidi, ma anche i più efficaci. A sentire Lorsignori, la rete sarebbe un bosco pericoloso, pieno di lupi "pedofili" appostati nei newsgroups, quotidianamente attraversato da ignare Cappuccetto Rosso della cui "protezione" dovrebbe incaricarsi una cyber-burocrazia di censori. Questi ultimi possono essere in carne ed ossa (e manganello) oppure artificiali, come i proxy servers o il programma CyberSitter della Solid Oak Software.

Già da un po' di tempo governi, forze di polizia e lobbies conservatrici cercano di far passare leggi anti-Internet e anti-pornografia, contro le quali insorgono l'intera comunità degli utenti e i movimenti per i diritti civili. Paradigmatica la vicenda del Communication Decency Act, presentato dal Department of Justice del governo USA e dichiarato incostituzionale nel giugno '96 dalla Corte Suprema. Contro quest'ultima decisione, il DoJ è ricorso in appello, e mentre scrivo queste righe il dibattito è rovente.

La International Conference on Child Sexual Exploitation, svoltasi a Stoccolma nell'agosto 1996 e super-pompata dai media di tutto il pianeta, è servita da tribuna per centinaia di paranoici teorici del complotto "pedofilo", sessuofobi attivisti pro-censura e fanatici della Moral Majority coperti da sigle internazionali apparentemente "neutre": forse non tutti sanno che l'ECPAT (End Child Prostitution in Asian Tourism), movimento internazionale direttamente coinvolto nell'organizzazione dell'evento, negli USA serve da cavallo di Troia per i reduci della destrorsa National Coalition on Pornography, la cui propaganda ha ispirato buona parte dei recenti tentativi di mettere il bavaglio ad Internet, CDA compreso.

La conferenza, com'era prevedibile, ha scelto la rete come principale bersaglio polemico. Durante e dopo questa fiera della disinformazione, le autorità hanno alzato il livello dello scontro.

Nell'agosto '96, Scotland Yard ha avvisato tutti i providers del Regno Unito che la pubblicazione e trasmissione di materiale pornografico è illegale. Ai providers è stata fornita una lista di 133 newsgroups su Usenet dai contenuti esplicitamente sessuali. Alcuni di questi sono a carattere sadomaso, come alt.sex.bondage, alt.sex.fetish.feet o alt.sex.watersports. Molti non hanno proprio nulla di "pornografico", come alt.homosexual, dove si discute di cultura e politica gay. Da qui prende le mosse uno dei due casi specifici che mi accingo a ricostruire.

Gli ultimi episodi fanno sperare in una sempre maggiore reattività del "popolo di Internet" di fronte alla calunnie e alla repressione. E' recentissimo (25 marzo 1997) l'evento "Ein Land geht off line", due ore di sciopero di tutti i providers austriaci, per protestare contro un raid poliziesco ai danni di VIP-net, un provider viennese. Gli sbirri - più ottusi che mai, e non coadiuvati da nessun esperto di informatica - cercavano immagini di pornografia infantile, ma non ne hanno trovate, e già che c'erano hanno sequestrato tutto l'hardware e i dischetti di back-up, strappato cavi etc., provocando a VIP-net ingenti danni morali e materiali.

Un altro segnale del fatto che gli utenti Internet sono generalmente meno creduloni ed isterici del pubblico dei media tradizionali: dal settembre '96 all'aprile '97 la homepage del MAPI (Movement Against Pedophilia on Internet) è stata visitata da sole 15 persone, una delle quali ero io.

 

 

Il caso Johan Helsingius

 

25 agosto 1996: il giornale londinese The Observer strilla in prima pagina: "I mercanti della violenza sui bambini: sappiamo chi sono, ma nessuno li ferma". Sotto il mega-titolo, due fotografie: una ritrae Clive Feathers, dirigente di Demon, il più importante Internet provider inglese, con la didascalia "Il direttore scolastico che vende accessi a foto di bimbi stuprati"; l'altra ritrae Johan "Julf" Helsingius, gestore di anon.penet.fi, servizio finlandese di remailing anonimo, con la didascalia: "L'intermediario di Internet che gestisce il 90% di tutta la pornografia infantile".

Come tutti i remailers, anon.penet.fi è un servizio gratuito a disposizione di chiunque desideri spedire e ricevere e-mail mantenendo l'anonimato (si tratta in genere di perseguitati politici, religiosi o sessuali, attivisti dei diritti umani, persone con problemi medici etc.).

All'interno, il lettore trova ben tre pagine di sensazionalismo su "pedofilia" et similia. Titolo a pagina 19: "Questi uomini non sono pedofili: è di Internet che abusano". L'articolo inizia dicendo che Feathers e Helsingius sono

 

gli anelli più importanti della catena pedofila internazionale. Uno dirige una compagnia che permette di accedere a migliaia di fotografie illegali di bambini che subiscono aggressioni sessuali, l'altro è fornitore di un servizio che permette a chi abusa dei bambini per il mercato pornografico di usare Internet senza timore d'essere scoperti. Può darsi non si conoscano l'un l'altro, ed entrambi dicono di non poter fermare i pedofili. Ma le forze di polizia britanniche e di tutto il mondo li stanno spingendo a fare di più.

 

Eppure, leggendo l'articolo, tutto ciò di cui Feathers pare imputabile è di essersi opposto, per conto di Demon, alla richiesta di Scotland Yard di bloccare gli accessi ai newsgroups della discordia, e di aver rincarato la dose dichiarando all'Observer che bloccare gli accessi non impedirebbe le violenze sui bambini.

Per quanto riguarda Helsingius, ad un certo Toby Tyler, definito "consulente dell'FBI", viene attribuita una dichiarazione secondo cui il 75- 90% della pornografia infantile passa attraverso anon.penet.fi. Secondo l'articolo, Helsingius ha subito "mezza dozzina di perquisizioni [da parte della polizia finlandese], ma non è stata trovata pornografia infantile". A pagina 19 c'è un'altra foto di Helsingius, con la didascalia:

 

Johan Helsingius è l'uomo che gli esperti della polizia USA accusano di smistare il 90% della pornografia infantile su Internet. Pervertiti possono collegarsi e partecipare a sedute filmate "dal vivo" e "interattive", sedute che includono lo stupro di bambini. I produttori di questo materiale illegale sono quasi irrintracciabili a causa di "remailers" come Helsingius.

 

Non c'è niente di vero. Non solo anon.penet.fi non da' l'accesso a newsgroups, ma da più di un anno ha posto un limite alle dimensioni dei messaggi, per cui non si possono spedire o ricevere immagini. Gli autori del servizio (David Connett da Londra e Jon Henley da Helsinki) insinuano che il remailer finlandese permette di anonimizzare video interattivi in diretta, il che è impossibile. Inoltre, Richard P. "Toby" Tyler non è un consulente dell'FBI bensì un sergente del San Bernardino California Sheriff's Department che ha indagato sulla pornografia in rete, e la sua dichiarazione è stata considerevolmente distorta: Tyler ha detto che solo una minima parte del materiale pornografico da lui rinvenuto è passata attraverso i remailers, e che il 70-90% di questa minima parte veniva da anon.penet.fi (ma, almeno dal 1995 in poi, non può trattarsi di immagini).

Considerato che The Observer non è un tabloid tipo The Sun oThe Mirror, bensì un giornale ritenuto "serio", "prestigioso" e moderatamente "di sinistra", la pubblicazione di un servizio tanto calunnioso e inaccurato scatena il "popolo della rete": l'articolo viene smontato punto per punto, i cronisti e il direttore dell'Observer Dean Nelson vengono sepolti dalle smentite e ridicolizzati. Lo stesso Toby Tyler definisce l'attacco a Helsingius "una vergogna" e aggiunge che anon.penet.fi "ha una necessaria funzione politica a livello planetario".

Kaj Malmberg, sergente di polizia di Helsinki, dichiara: "la quantità reale di pornografia infantile via Internet è difficile da stabilire, ma una cosa è certa: non abbiamo casi di immagini di questo tipo spedite dalla Finlandia". The Observer si arrampica sugli specchi, ma si rifiuta di ritrattare.

Negli stessi giorni, a Helsinki arriva in tribunale una causa intentata a Helsingius dalla Chiesa di Scientology per una questione di copyright; la setta vuole conoscere l'identità di un simpatizzante che attraverso anon.penet.fi ha diffuso senza autorizzazione alcuni "testi sacri". Il giudice stabilisce che le leggi finlandesi sulla privacy della corrispondenza non coprono la posta elettronica. Julf, stanco delle polemiche, decide di chiudere il remailer. A questa decisione non è estraneo il clima di panico morale fomentato da The Observer:

 

Ho fondato il remailer e da più di tre anni lo gestisco nel mio tempo libero. Ciò mi ha sottratto tempo ed energie. A causa del remailer ho subito anche attacchi personali: accuse infondate hanno inficiato il mio lavoro e la mia vita privata. In questi tre anni Internet è cambiata molto, in tutto il mondo vi sono ormai dozzine di remailers che offrono servizi simili. Chiuderò il remailer finché non si stabiliranno i termini legali dell'intera gestione di Internet in Finlandia.

- Comunicato-stampa di Johan Helsingius, 30/8/1996, http://boojie.rt.csuohio.edu/~31337/cun/cun09-3-96

 

Il caso Steve Barnard

 

20 Ottobre 1996. Migliaia di utenti Internet in tutto il mondo ricevono un'inquietante UCE (Unsolicited Commercial E-mail), vale a dire pubblicità indesiderata. Si tratta del messaggio di un certo Steve Barnard di Child Fun, presentato come un servizio di vendita per corrispondenza di pornografia infantile. Il testo inizia così:

 

Ciao! Ti spedisco questa lettera perché eri in una lista di indirizzi e-mail che rientrano in questa categoria. Sono un collezionista di pornografia infantile, e negli ultimi 3 anni ho messo assieme un vasto assortimento. Ora voglio vendere queste immagini a chiunque sia interessato, o scambiarle con altre. Puoi averle stampate su carta Kodak, oppure riceverle sul tuo computer in formato GIF o JPG. Ho un catalogo di tutti i miei prodotti: ci sono videocassette, fotografie, posters e registrazioni audio. Ho ragazzi dai 7 ai 17 anni, e ragazze dai 4 ai 19.

 

Segue il listino con gli articoli e i relativi prezzi. Barnard scrive che può anche "personalizzare" le fotografie, sovrapponendo il volto dell'eventuale acquirente a quello dell'adulto che copula col minore. Un servizio molto simile è disponibile anche per le registrazioni: a richiesta, il bimbo può gemere il nome del compratore. Gli interessati possono spedire un assegno, un vaglia o il loro numero di carta di credito all'indirizzo di Child Fun, Jackson Heights, New York.

Fin da subito il messaggio viene definito uno "spam" (nel linguaggio della rete, qualcosa a metà tra lo scherzo telefonico e la posta-spazzatura). E chiaro che i destinatari sono stati scelti a caso: molti di loro non solo non "rientrano nella categoria", ma hanno subito avvertito le autorità. Inoltre, un "pedofilo" non spedirebbe un'UCE, né sarebbe tanto idiota da dare urbi et orbi il proprio nome ed indirizzo. E quale acquirente di pornografia illegale pagherebbe per inserirvi la propria faccia o il proprio nome?

Nessuno, a cominciare dall'FBI, da credito al contenuto del testo: Child Fun non esiste, come non esiste l'indirizzo di America On Line da cui lo spam risulta spedito. Le preoccupazioni della comunità telematica riguardano invece la possibilità che chiunque possa disporre di indirizzi e dati sull'utenza, e usarli per imprese del genere. Ecco due commenti pescati a caso da Usenet e da WWW:

 

E' improbabile che questa lettera sia davvero di un pornografo pedofilo di nome Steve Barnard... Credo sia un attacco a questo Barnard, scritto e diffuso da terzi per rovinarne la reputazione e farne il bersaglio di messaggi d'odio e minacce telefoniche... cosa che sta quasi sicuramente succedendo [...] Se Steve Barnard fosse davvero un venditore di child porn, dirlo a migliaia di estranei sarebbe un atto di colossale stupidità. A parte entrare in una stazione di polizia e costituirsi, non c'è modo più rapido di attirare l'attenzione delle autorità.

- Scott Forbes, news.admin.net-abus.misc, 21/10/96

Il messaggio è un falso su cui stiamo indagando.

- Dichiarazione dell'FBI, www.news.com/News/Item/0,4,4669,00.html , 22/10/96

 

La maggior parte delle dicerie sulla "pedofilia" via Internet (dicerie che, amplificate da stampa e TV, danno origine a vere e proprie psicosi) nasce da spams e dal mix di crassa ignoranza, preoccupazione e invidia con cui gli operatori dei media tradizionali guardano all'estendersi di Internet.

Negli stessi giorni in cui in rete si da per scontata la falsità del testo di Child Fun, i giornali di tutti i paesi premono il pedale dell'allarmismo. Riporto i passaggi più demenziali dell'articolo a tutta pagina uscito su La Repubblica del 23/10/96, a firma Claudio Gerino ("Su Internet supermarket dei pedofili").

Secondo Gerino, quello di Barnard è "un nome noto alla polizia Usa, già implicato in indagini sulla pedofilia 'on line' e su cui le polizie di molti Stati europei, come l'Olanda, hanno aperto diverse inchieste". Non è vero.

Ancora: "per la prima volta, un documento di questo tipo esce dai circuiti riservati del mondo dei pedofili e... arriva a persone che nulla hanno a che fare con la pornografia infantile". E questo non fa sospettare niente? Giammai: lo spam viene invece interpretato come un "preludio... ad un più consistente assalto di proposte hard-core".

Segue il passaggio più vergognoso:

 

Il primo dubbio... è che si trattasse di uno scherzo. Il personaggio che ha inviato il documento, però, è ben conosciuto dalla polizia statunitense. C'è anche chi ha pensato ad una provocazione per indurre i governi a varare leggi restrittive sull'uso delle reti telematiche, ma la realtà sembra essere molto più semplice: il commercio pedofilo... ha scoperto in grande stile la telematica e Internet.

 

Ma la realtà è ancora più semplice: sono i giorni dell'isteria di massa sul mostro di Marcinelle, e lo spirito critico è in fondo al cesso.

Come tutte le leggende d'odio, il Child Porn Spam si riaffaccia periodicamente sul paesaggio dei media, ogni volta come se fosse appena successo e nessuno se ne fosse mai occupato prima. E così che, più di due mesi dopo i primi articoli, la notizia ricompare come nuova su Il Resto del Carlino, i cui cronisti - come abbiamo visto, veterani della Guerra Santa contro i pedofili - stanno scatenando l'opinione pubblica contro i Bambini di Satana.

Sul Carlino-Bologna del 27/12/96 appare un articolo del solito Canditi, illustrato da immagini morbose. E' molto facile, filtrando le assurdità scritte dal cronista, capire cos'è successo: un docente dell'Università di Bologna ha trovato il child porn spam sul terminale di una facoltà, ed ha prontamente informato la polizia.

Il Procuratore aggiunto Luigi Persico, intervistato da Canditi, bluffa maldestramente: non sa niente, ma può capirlo solo chi è al corrente del dibattito in rete. Canditi ci aggiunge del suo. Si spiegano così i riferimenti ad "una organizzazione che allunga da tempo i suoi tentacoli informatici verso l'Italia" (?), a presunti "007 americani... da tempo sulle tracce di un personaggio che utilizza la posta elettronica di Internet per [la vendita di pornografia infantile]" e alla "pioggia di proposte di questo tipo che giungono via Internet fino ai terminali italiani" (???). Persico si chiede se il trafficante abbia "agito autonomamente inserendosi nel canale di posta elettronica [dell'Università di Bologna]" o se "qualcuno, da Bologna, ha richiesto specifiche informazioni di mercato". Il che prova che Persico, dato come "titolare dell'indagine", non ha letto nemmeno la prima riga del testo ("Hi! I sent you this letter because you were on a list of e-mail addresses that fit this category").

 

Il caso Pierino Gelmini

 

Ho scritto al cap.1 che ritengo insufficienti le classiche strategie di "controinformazione": abbiamo a che fare con miti diffusi ad arte, che s'ingrossano a palla di neve sul piano inclinato del "panico morale". Non ci si può illudere che basti affermare la Verità: occorre invece giocare d'anticipo con il falso, per sfottere i media tradizionali.

Un esempio: il 16 gennaio 1997 gli iscritti alla lista <invisibile-college@jefferson.village.Virginia.EDU> ricevono un comunicato in inglese firmato "Luther Blissett", intitolato 1997: Well Begun is Half Done. A Phone Prank Pulled by Luther Blissett [1997: Chi ben comincia è alla metà dell'opera. Uno scherzo telefonico di Luther Blissett]. Il comunicato risulta spedito da un indirizzo "fantasma" (Anon@anonymous.org), ma proviene sicuramente dall'Italia. Visto che il nome "Luther Blissett" è liberamente adottabile, è quasi impossibile risalire all'autore del comunicato.

Nessuno può garantire al 100% l'autenticità della rivendicazione, ma la beffa di cui si parla è effettivamente avvenuta. Traduco:

 

Don Pierino Gelmini è un noto prete cattolico, fondatore e leader delle Comunità Incontro, centri per la 'riabilitazione' dei tossicodipendenti [...] Curiosamente, la comunità Incontro ha una succursale in Tailandia.

Nel dicembre 1996 la polizia italiana ha arrestato un cambogiano di mezza età, un presunto mercante di bambini diretto in Belgio, all'aeroporto internazionale di Fiumicino (Roma). Viaggiava con dei bambini tailandesi, che faceva passare per i propri figli adottivi. I media hanno sfruttato l'evento per alzare il livello dell'isteria che si è impadronita dell'Europa dopo l'arresto di Marc Dutroux a Marcinelle: opinion-makers reazionari hanno cercato in tutti i modi di istigare al linciaggio di chiunque fosse sospettato di pedofilia [...]

Sabato 4 gennaio 1997 ho telefonato all'ufficio romano dell'ANSA, una grossa agenzia-stampa:

 

LB- Pronto, sono Aldo Curiotto, portavoce della comunità Incontro. Chiamo per smentire le ultime notizie sull'arresto di don Pierino Gelmini. I carabinieri NON lo hanno arrestato, lo stanno solo interrogando. Don Gelmini non è stato ancora accusato di traffico di pornografia infantile...

ANSA- ...Come, scusi? Noi non abbiamo avuto nessuna comunicazione sull'arresto!

LB- Le ho appena detto che non si tratta di un arresto. E' solo in stato di fermo.

ANSA- Ma è strano, nessuno ci ha informati! Qual è l'accusa? Pornografia infantile???

LB- Don Gelmini avrebbe prodotto video pedofili in Tailandia, ma NON c'è nessuna accusa lo stanno ancora interrogando. Per ora è solo in stato di fermo.

ANSA- Oddìo! [Rivolto ai suoi colleghi:] Oh, i carabinieri hanno fermato don Gelmini! [Voci di sottofondo: Eh???? Cosa???] Sì, lo stanno interrogando su un traffico di video pedofili! [Rivolto a me:] Signor Curiotto, ha altro da dichiarare?

LB- La prego di tenere presente che ho chiamato per smen-ti-re! Non c'è nessuna prova di un collegamento tra don Gelmini e il cambogiano arrestato a Fiumicino.

ANSA- [Ai colleghi:] Cristo! Un collegamento col cambogiano! [Rivolto a me:] La ringrazio, signor Curiotto. Per favore, ci lasci il Suo numero di telefono, qui scoppia un putiferio, abbiamo bisogno di rimanere in contatto con Lei!

LB- Certo, naturalmente. Il numero dell'ufficio-stampa è 3725580. Per ora è tutto. Vi prego di rispettare l'operato di don Gelmini. Arrisentirci.

 

Ho lasciato il vero numero della comunità Incontro di Roma. Anche Aldo Curiotto è il nome del loro vero addetto-stampa. Sapevo benissimo che l'ANSA avrebbe richiamato quel numero, e che Curiotto avrebbe smentito tutto, ma sapevo anche che la mia storia era fresca, pura exploitation (il sud-est asiatico, la violenza sui minori, la vita segreta di un celebre benefattore e per di più prete...). Il mio tentativo di diffamazione era tanto balordo da meritare comunque un lancio d'agenzia.

Il giorno dopo, tutti i giornali riportavano la notizia con titoli come:

'ARRESTATO DON GELMINI' / CALUNNIATO PER VENDETTA? / Il sacerdote: 'Sono abituato agli attacchi' (L'Avvenire, 5/1/1997).

Interviste a Curiotto e a Gelmini sono apparse sui giornali e sono state trasmesse in TV. Ecco un estratto del comunicato-stampa di Curiotto: 'Un attacco al buon nome di don Gelmini è stato sferrato da qualcuno che si è spacciato l'addetto-stampa della comunità Incontro ed ha diffuso notizie deliranti usando il mio nome [...] E' mio dovere proteggere la mia attività di addetto-stampa e la reputazione di don Gelmini'.

Alcuni editorialisti hanno fatto notare che il fenomeno della 'violenza sui bambini' è stato tanto sovraesposto nei media da diventare una farsa, un tema adatto al sensazionalismo gratuito, alla truffa e alla calunnia. Meglio tardi che mai. E' sicuramente una coincidenza, ma i media nazionali hanno smesso di agitare lo spauracchio della pedofilia per quasi due settimane. Quanto a 'me', anche se Curiotto e Gelmini non potrebbero querelare uno spettro collettivo, sono rimasto anonimo là fuori, nel Grande Ovunque.

 

"Omeopatia mediatica", dunque. Fare uso del loro stesso veleno. Spiazzarli. Cortocircuitarli. Costringerli a scrivere altro. La "seconda rivoluzione sessuale" trionferà quando impareremo a prosperare sul caos.

 

 

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